Fausto Pagnotta è storico del pensiero politico e sociologo all’Università di Parma dove è docente a contratto in materie storico-politiche e materie sociologiche, e membro scientifico del Centro Interdipartimentale di Ricerca Sociale (CIRS).
Si parla tanto di crisi sociale, che cos’è in realtà?
Bisogna premettere che di crisi sociali è piena la storia del genere umano, pensiamo ad esempio alle guerre mondiali del secolo scorso con le loro conseguenze. Oggi possiamo parlare di crisi sociale se indichiamo un insieme di elementi di criticità che hanno investito la nostra società. Criticità prima di tutto economiche perché non dobbiamo dimenticare che la grande crisi recessiva iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e che si è poi abbattuta a livello globale ha fatto registrare in Italia tra il 2009 e il 2017 il fallimento di 114mila imprese con la conseguente perdita di circa 1 milione e 500mila posti di lavoro. Cifre drammatiche per migliaia di famiglie e che solo di recente negli ultimi tre anni hanno visto una prima controtendenza; alla crisi economica si aggiunge poi una crisi di tutte quelle istituzioni sociali dalla famiglia, alla scuola per passare attraverso i partiti politici e le associazioni sindacali nonché la Chiesa che da sempre hanno svolto un ruolo non solo di aggregazione ma pure di trasmissione di valori relazionali e sociali che permettevano alle persone di sentirsi parte di qualcosa, di un gruppo, di una comunità, di un’idea e quindi in ultima istanza meno sole.
Crisi sociale ed individualismo, quanto sono in relazione?
L’individualismo dominante che permea a livello globale gran parte della cultura occidentale ha spesso ridotto gli esseri umani a monadi isolate intente a soddisfare bisogni parziali ed immediati, incapaci di creare in profondità relazioni stabili e durature che anzi, se da un lato sono ancora cercate, dall’altro spesso sono viste come pesi da cui liberarsi; un paradosso che genera diffuse forme di frustrazione sia sul piano delle relazioni interpersonali che collettive. La Rete e i Social spesso sono gli strumenti attraverso i quali milioni di persone cercano oggi nella dimensione digitale di riappropriarsi di brandelli di comunità; a volte con successo a volte cullando una mera illusione dato che la cultura dell’I like assai diffusa nei Social alla fine esalta l’individuo chiuso nel proprio ego giudicante.
La crisi sociale in atto avrà una fine?
Non so se è possibile parlare della fine di una crisi in una società globalizzata dove crisi locali si ripercuotono sempre di più a livello mondiale; credo invece sia opportuno iniziare a parlare di necessità di sviluppo globale di risorse e di strumenti utili ad accompagnare con meno danni possibili e, dove è permesso, a prevenire e a contrastare, le molteplici forme di crisi.
Oggi abbiamo una società che va più forte di una macchina di F1, potrebbe succedere una rottura di sistema data proprio dalla velocità?
Direi che ci troviamo di fronte a uno scenario multiforme con parti di società che vanno veloci quasi al passo delle più moderne tecnologie digitali che fanno del paradigma della velocità il loro punto di forza ed altre rimaste ancorate ai tempi e alle dinamiche lente della modernità predigitale. Dall’incontro-scontro di queste due dimensioni possono nascere diversi problemi sociali. Di certo non si può pensare che la velocità possa essere riconosciuta come valore universale da applicare ad ogni ambito dell’esistenza umana in particolare quando parliamo di relazioni umane ti tipo affettivo che per essere vissute e godute appieno hanno bisogno di tempi lenti.
Diventare adulti vuol dire come in passato assumersi delle responsabilità, quali sono le più importanti?
Personalmente non mi piace la patente quasi scontata che si dà agli adulti in termini di maturità acquisita. Spesso nel mio ruolo di docente ho incontrato giovani tutt’altro che scapestrati e irresponsabili ma che anzi si sono fatti carico già in tenera età di responsabilità non da poco come ad esempio la cura di fratelli e sorelle minori surrogando spesso la funzione genitoriale. Tuttavia se vogliamo parlare di senso di responsabilità che dovrebbe caratterizzare l’età adulta credo che oggi in particolar modo significhi assumersi la prioritaria responsabilità, in termini di ben-essere, nei confronti dell’ecosistema sociale ed ambientale di cui si fa parte. Troppo spesso si agisce senza chiedersi gli effetti e le conseguenze che le nostre azioni avranno sul nostro prossimo e sull’ambiente in cui viviamo e quindi su noi stessi.
Come legge il disagio giovanile oggi espresso in particolare dal fenomeno del bullismo che nell’era di internet si trasforma in cyberbullismo? Come contrastare questi fenomeni?
Parlavamo di responsabilità verso il sistema sociale e verso il nostro prossimo … ecco, i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo che nei Corsi di Servizio Sociale del Dipartimento di Giurisprudenza Studi Politici e Internazionali dell’Università di Parma, affrontiamo da anni come materia di studio e di ricerca, sono un esempio di relazione deviante asimmetrica dove un singolo o un gruppo dominante sopraffanno con abusi e violenze reiterate nel tempo una persona, senza interrogarsi sul dolore e sulla sofferenza patiti dalla vittima. Nel bullismo e nel cyberbullismo il dolore e la sofferenza della vittima passano infatti in ultimo piano rispetto alla necessità da parte dei bulli e dei cyberbulli di affermare con forza un proprio ruolo sociale nel gruppo attraverso forme di violenza che assumono purtroppo sempre più un ruolo determinante nel processo di costruzione identitaria giovanile anche grazie alla continua trasmissione massmediatica di modelli che non sono proprio improntati alla pace e al rispetto reciproco.
Come contrastare questi fenomeni?
Si tratta di fenomeni oggi assai diffusi, in cui è forte la componente emulativa, che vanno prevenuti e contrastati a livello di sistema dato che sono indice di un malessere o di criticità sociali che non si risolvono mai nei singoli soggetti coinvolti perché riguardano l’intero sistema sociale in cui si manifestano. Per prevenire il bullismo e il cyberbullismo c’è bisogno di un approccio comunitario di sistema dove la responsabilità nei confronti del ben-essere dell’altro sia principio prioritario a cui educare fin dalla più tenera età. Ma chiediamoci se oggi nelle relazioni interpersonali e a livello massmediatico è questo il valore che viene diffuso come messaggio prioritario.
Di quali stimoli hanno davvero bisogno i giovani di oggi?
Forse sarebbe meglio dire di quali stimoli non hanno bisogno dato che fin da piccoli sono letteralmente bombardati mediaticamente e commercialmente da tutta una serie di stimoli e di modelli funzionali a un’economia di mercato esasperata ed esasperante; detto questo credo che tra gli stimoli da coltivare nei giovani dovrebbero trovare spazio la curiosità e la soddisfazione nel contribuire in modo attivo al benessere della comunità di cui si fa parte.
I giovani del ‘68 quali stimoli hanno avuto?
Bisognerebbe innanzitutto porre la domanda a chi ha vissuto quegli anni; di certo è stato un periodo di grandi fermenti creativi e slanci ideali, in parte necessari, pensiamo alle lotte per l’emancipazione femminile e per i diritti civili, in parte purtroppo distruttivi e a volte illusori; il credere ad esempio che il passato e ogni forma di tradizione e di educazione risiedente in esso fossero forme cristallizzate del potere dominante e quindi da abbattere nella loro totalità ha creato deserti e macerie valoriali e di senso sulle quali in pochi hanno poi pensato ad assumersi la faticosa responsabilità di ricostruire qualcosa di duraturo. Vuoti di senso diventati ben presto vere e proprie praterie sulle quali l’economia di mercato di un liberismo sfrenato a partire dalla fine degli anni ‘70 e in particolare con gli anni ‘80 ha iniziato a fare le sue scorribande. Basterebbe invece leggere alcune pagine dai Quadrerni dal carcere di Antonio Gramsci sulla necessità della trasmissione della cultura classica greca e romana, come esercizio formativo ed educativo per una qualsivoglia classe dirigente del domani per comprendere la necessità culturale dello studio del passato della nostra civiltà a partire da quello più antico.
Intravede la possibilità di un nuovo ‘68?
Le condizioni di oggi sono ben diverse da quelle di allora ma i giovani sono spesso imprevedibili e già abbiamo assistito al nascere in modo repentino a forme aggregative di protesta giovanile come ad esempio negli Stati Uniti il movimento Never Again che ha visto migliaia di ragazzi e ragazze condividere un comune impegno contro la diffusione indiscriminata di armi tra la popolazione civile americana. Chissà se movimenti di protesta e contestazione locali sui diritti civili, sui grandi temi dell’ecologia e dell’ambiente in una società planetaria sempre più interconnessa potranno estendersi a livello globale.
Quale libro secondo lei un giovane di oggi deve conoscere assolutamente ed avere nella sua libreria?
Proprio per quel discorso che abbiamo affrontato prima sulla necessità di assumersi la responsabilità dell’ecosistema sociale ed ambientale consiglierei di leggere e di tenersi accanto, a prescindere che uno sia credente o meno, la Laudato Si’ di Papa Francesco che travalica i sentieri confessionali per parlare con forza ai cuori di ogni uomo e di ogni donna chiamando a una responsabilità condivisa nei confronti del rispetto e della tutela del creato. Inoltre consiglierei Parlarsi di Eugenio Borgna che spiega in profondità il significato del comunicare come il saper prendersi cura dei pensieri e delle emozioni dell’altro; cosa che oggi in piena “epoca Social” risulta paradossalmente quanto mai rara.
E il suo libro preferito …?
Ce ne sono tanti di libri scritti da autori antichi e moderni che hanno segnato la mia formazione, per rimanere sui moderni penso ad esempio a quelli di Jean-Pierre Vernant, di Zygmunt Bauman, di Edgard Morin, di Eugenio Borgna nonché di Padre Enzo Bianchi, e, anche se so di essere fuori moda, ci sono due libri o meglio un libro e una raccolta di novelle che ricordo con particolare affetto e sono I promessi sposi di Alessandro Manzoni e le Novelle di Giovanni Verga, testi carichi di quella umanità sofferente che fa la storia e di cui troppo spesso ci si dimentica. Direi che sono questi i libri che hanno contribuito ad aprirmi all’ascolto dei tanti troppi inascoltati della società.
S.C.