Intervista a tutto campo sul tema della violenza sulle donne a Fausto Pagnotta, sociologo, docente a contratto in materie sociologiche e storico-politiche all’Università di Parma dove è membro scientifico del Centro Interdipartimentale di Ricerca Sociale (CIRS) e dove collabora con il Comitato Unico di Garanzia per le Pari Oppoturnità (CUG).
Da molti anni abbiamo una piaga sociale da cui sembra impossibile uscire, la violenza sulle donne, nel 2017 sono avvenuti 114 femminicidi, nei soli primi otto mesi del 2018, se ne contano già circa 50, come inquadrare questo fenomeno?
Direi che il fenomeno si inquadra all’interno di gran parte della storia del genere umano che è stata ed è tutt’ora segnata da molteplici forme di discriminazione e di violenza fisica, psicologica e culturale da parte del mondo maschile nei confronti delle donne. Al contempo dobbiamo evidenziare come almeno in Occidente dal ‘700 in poi si è prodotta una profonda riflessione filosofica e giuridica sui diritti delle donne con la nascita di numerosi movimenti per l’emancipazione femminile che hanno prodotto risultati concreti a vantaggio di milioni di donne in termini di parità di diritti civili e di tutela e di garanzie giuridiche e sociali.
Oggi si parla tanto attraverso i mass media di violenza di genere ma il fenomeno non tende a diminuire
Che oggi in una società mediatizzata se ne parli di più e ce ne sia una maggiore percezione soprattutto grazie a quelle donne che con le loro denunce continuano a ribellarsi alla cultura della violenza di genere, ma anche grazie a quegli uomini che hanno scelto di stare al loro fianco in questa battaglia, è un fatto positivo sebbene ci sia sempre il rischio della spettacolarizzazione voyeuristica o del condizionamento emulativo. Tuttavia la cosa peggiore in questi come in altri casi di abuso e di violenza è il silenzio che genera l’isolamento delle donne vittime come degli uomini violenti. Infatti teniamo sempre presente che, come denuncia l’Istat, la violenza contro le donne è tutt’oggi fenomeno di difficile misurazione perché in larga parte rimane ancora sommerso.
C’è secondo lei un modo per fermare questo massacro?
Gli argini contro la violenza di genere vanno costruiti sul piano politico e giuridico, su quello dell’informazione ma in particolare sul piano culturale ed educativo sin dall’infanzia. C’è bisogno di una rivoluzione culturale e relazionale, che coinvolga donne e uomini insieme e che metta come priorità il rispetto della dignità della donna e la promozione della parità di genere. L’obiettivo è quello di rifondare la relazione uomo/donna su nuove basi e nuove prospettive di senso dove il reciproco rispetto non si limiti a un bel concetto astratto ma animi invece fin dalla più tenera età la relazione tra uomo e donna sia nei comportamenti che nel linguaggio.
Secondo lei da dove si deve partire per realizzare questa rivoluzione culturale?
Si tratta di agevolare un difficile percorso, già d’altra parte in atto da anni, che ha come per prima tappa l’impegno a livello di intero sistema sociale, sia sul piano educativo che culturale, per far uscire la donna dall’atavica condizione di possesso/preda/trofeo da parte dell’uomo, cosa che ne riduce l’autonomia minandone da sempre la soggettività.
Di fatto chi commette l’omicidio, l’80% è il compagno, il marito, l’ex marito, l’amante, comunque un componente della famiglia, colui che si conosce, come interpretare tutto questo?
Non ci può essere una risposta univoca e risolutiva data la complessità delle implicazioni emotive, psicologiche e relazionali che caso per caso investono il fenomeno della violenza di genere all’interno delle mura domestiche o all’interno di una relazione sentimentale. Di certo la prossimità nel quotidiano e il legame affettivo/emozionale nonché relazionale che si realizza tra i soggetti coinvolti crea il contesto ‘privato’, spesso chiuso ed isolato, necessario al perpetrarsi nel tempo della violenza, ma non ne è la causa scatenante. Le cause sono molteplici e nel soggetto violento hanno spesso radici psicologiche e relazionali profonde e lontane, anche al di fuori della contingente relazione uomo/donna.
Dove rintracciare quindi le cause principali della violenza di genere?
Le cause principali vanno ricercate senz’altro nelle specifiche dinamiche psicologiche e relazionali dei soggetti che si rendono protagonisti di atti violenti contro le donne ma pure nelle modalità relazionali e simbolico/culturali attraverso cui l’uomo si rapporta con la donna e in generale con il mondo femminile all’interno di una società. Il problema centrale è se l’uomo in una relazione affettiva concepisca la donna come soggetto con una sua autonomia di pensiero e di azione oppure come oggetto di possesso su cui esercitare il proprio potere attraverso un controllo ossessivo fino ad arrivare, in casi limite, alla sua eliminazione fisica quando si affacci in lui, presunta o reale, la paura di perderne il possesso e quindi il controllo a vantaggio di un altro uomo, o semplicemente a vantaggio di una sua ritrovata libertà e soggettività. A volte nella relazione ci può essere una compresenza di entrambi gli atteggiamenti con un prevalere improvviso del secondo, violento ed abusante, sul primo rimasto in superfice se non in facciata. In modo assai chiaro ed efficace queste ed altre dinamiche sono spigate dalla psicologa Maria Luisa Bonura nel suo recente libro Che genere di violenza. Conoscere e affrontare la violenza contro le donne edito da Erickson.
Si può quindi parlare di un problema psicologico dell’uomo, e di certi uomini in particolare, nei confronti della donna?
Il fenomeno della violenza degli uomini contro le donne, che di certo ha significativi risvolti psicologici, tuttavia non può essere risolto in toto nella psicologia che pure tanto ha contribuito e contribuisce ad evidenziarne alcune delle maggiori dinamiche psichiche. Questo perché si tratta di un fenomeno che ha precisi fondamenti antropologico-culturali nonché implicazioni socio-relazionali che non possono essere trascurati per cercare di realizzare efficaci strategie di prevenzione. C’è dunque bisogno sì della psicologia ma anche della sociologia e dell’antropologia culturale nonché della pedagogia per cercare di comprendere, di prevenire e di contrastare fin dall’infanzia il fenomeno della violenza contro le donne.
Cosa intende per fattori antropologico-culturali e socio-relazionali che promuovono la violenza di genere?
Intendo dire che il soggetto responsabile dell’azione violenta non è mai unico portatore del processo scatenante la violenza, ne è semmai l’esecutore materiale, l’ultimo anello di una lunga catena che ha spesso le sue origini nel sociale. Il processo che porta all’atto violento nel suo svilupparsi nel soggetto che se ne rende protagonista andrebbe quindi concepito non in termini esclusivamente individuali ma pure sociorelazionali, poiché l’individuo è fin dalla nascita sempre in relazione con la società e la cultura di cui fa parte. La violenza ha radici nella relazione umana e nelle forme culturali delle società dove questa si esprime. Di recente su tali questioni si è confrontato il sociologo Sergio Manghi che, nel suo libro L’altro uomo. Violenza sulle donne e condizione maschile edito da Pazzini, cerca di rapportarsi con le profonde origini relazionali della violenza maschile contro le donne individuandone buona parte della molla scatenante sia nel timore dell’uomo di perdere la donna concepita quale oggetto/preda/trofeo del desiderio, sia nel processo di interiorizzazione da parte dell’uomo dello sguardo dell’altro, il potenziale maschio/competitore, sulla donna oggetto/preda.
La società ha delle responsabilità in tutto questo?
La paura della perdita è decisamente acuita in una società ipercompetitiva come la nostra, attraverso la diffusione, anche e soprattutto a livello pubblicitario e massmediatico, di modelli identitari maschili sempre più performanti che spesso assegnano ancora alla donna il ruolo di oggetto/preda/trofeo di un uomo considerato “vincente”. Lorella Zanardo nel suo Il corpo delle donne edito da Feltrinelli ha ben rivelato questa dimensione. Il problema è che la paura della perdita, sotto questa pressione sociale, si tramuta ben presto in timore ossessivo della sconfitta rispetto all’identità di genere socialmente diffusa e riconosciuta, generando in molti uomini frustrazione, aggressività ed infine violenza.
La cultura, la religione, l’educazione possono essere le componenti che contribuiscono a compiere l’atto violento e in certi casi delittuoso? Oppure è solo la violenza incontrollata che scatta in certi uomini nel momento del litigio a provocarlo?
La cultura, la religione e l’educazione come tante altre forme in cui si esprime la relazione umana, pensiamo ad esempio alla politica, al diritto, al commercio e al mercato, possono in determinati contesti storici e culturali nonché sociali accogliere in modo più o meno legittimato ed esplicito la violenza. Ma questo perché purtroppo tra le caratteristiche dell’essere umano, e nello specifico dell’uomo maschio, c’è pure la violenza, per cui prendere coscienza di questa condizione antropologica e relazionale, e delle diverse forme sociali, psicologiche e culturali in cui essa si esprime e si tramanda contro le donne, è un primo passo importante per iniziare un lavoro di consapevolezza che riguardi tutti, e tutti gli ambiti del vivere sociale, nessuno escluso. Non si possono sempre stabilire semplicistiche equazioni tra cultura, religione educazione e forme della violenza, in tal senso pensiamo ad esempio all’episodio evangelico della lapidazione dell’adultera (Gv. 8, 1-11), punizione frutto di un determinato contesto sociale, culturale e religioso, contro cui si oppone in modo rivoluzionario Gesù con il famoso “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Questo significa che anche all’interno di un contesto sociale, culturale e religioso si possono costituire degli antidoti contro forme di violenza che trovano o avevano trovato in esso spazio e legittimazione.
Come lei sa esistono anche se da poco tempo dei consultori e dei centri di assistenza per uomini che maltrattano, possono essere un deterrente utile e sufficiente contro la violenza di genere oppure serve altro e in quale forma?
Non si tratta di vedere subito in questi centri una panacea o un deterrente definitivo alla violenza contro le donne ma piuttosto un primo grande passo avanti della società per farsi carico dell’elemento maschile violento non in termini punitivi ma in termini di accoglienza di un disagio psichico e relazionale che spesso si esprime in forme radicali di violenza contro le donne. Inoltre questi centri possono promuovere sul territorio momenti educativi e di consapevolezza attraverso le testimonianze di quegli uomini che hanno accettato di intraprendere questo percorso.
Qualcuno ipotizza che molte donne abbiano delle colpe rispetto alla violenza di genere, secondo lei ne hanno? Se sì, quali?
Per troppo tempo l’interrogarsi sulle responsabilità delle donne in termini di colpa in merito alle violenze subite ha rappresentato l’alibi, la migliore copertura, per un certo mondo maschile violento per sottrarsi alle responsabilità nei confronti delle proprie azioni. Frasi del tipo “Ha subito violenza, ma pure lei …” oppure “… è lei che mi ha provocato” le trovo aberranti sul piano etico e fuorvianti sul piano dell’analisi del fenomeno. Vede, se noi ragioniamo in termini di colpa delle donne che hanno subito violenza, qualcuno potrebbe cedere alla tentazione di giustificare almeno in parte la violenza che esse hanno subito. Invece noi dobbiamo affermare con forza che mai e poi mai è da giustificare la violenza contro una donna! Mai e poi mai!
Ci sono delle responsabilità che le donne si devono ancora assumere in prima persona per contrastare la violenza di genere e la loro oggettivazione?
Molte donne sono oggi impegnate insieme a diversi uomini per prevenire e per contrastare in prima linea la violenza di genere, penso ad esempio sul piano nazionale all’Associazione Telefono Rosa, e su quello locale all’Assessorato del Comune di Parma alle Pari Opportunità e Diritti, ai consultori dell’Ausl di Parma, all’impegno sul campo da parte di tutte le Forze dell’Ordine, nonché ai diversi Comitati Unici di Garanzia per le Pari Opportunità sparsi per il territorio tra cui quello particolarmente attivo dell’Università di Parma con cui collaboro diretto da Francesca Nori e dalla costituzionalista Veronica Valenti, ma pensiamo anche all’associazionismo e ad esempio al lavoro della Caritas diocesana, delle Associazioni Centro Antiviolenza, Maschi che si Immischiano e del Soroptimist Club. In tale quadro positivo rimangono tuttavia incomprensibili la soppressione in Italia nel 2013 del Ministero delle Pari Opportunità e il perdurare ad oggi della sua mancanza. Sulle responsabilità ancora da acquisire da parte delle donne, credo si possa dire che non sempre l’intero mondo femminile è consapevole della propria svilita riduzione ad oggetto di possesso o di consumo, e questo è un discorso che riguarda la necessaria presa di coscienza e l’assunzione di una nuova responsabilità da parte delle donne, ma soprattutto da parte degli uomini, all’interno di una cultura ancora a trazione maschile spesso dominata dall’oggettivazione della donna.
Ci sono voci illustri ma al contempo estremamente semplici e toccanti che ci informano sui livelli pericolosi di inciviltà raggiunti. Vittorino Andreoli ad esempio ci allerta: basta una generazione per polverizzare la cultura raggiunta in secoli di evoluzione. Lei cosa risponde?
Che Vittorino Andreoli ha ragione. Spesso abbiamo coltivato e coltiviamo soprattutto in Occidente l’idea di un’evoluzione progressiva del grado di civiltà raggiunto in termini di emancipazione e di diritti civili acquisiti. Purtroppo non è così e la storia ce lo insegna. La Germania che diede vita al nazismo era un Paese avanzatissimo sul piano culturale e intellettuale eppure questo non fermò l’immane tragedia dell’olocausto di cui si rese protagonista. Ma certe idee razziste, xenofobe ed eugenetiche, nessun storico intellettualmente onesto non potrà non riconoscere che in quell’epoca erano ben presenti in tanti altri Paesi, come ad esempio l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che nel secondo conflitto mondiale si schierarono contro il nazismo. Chiediamoci inoltre cosa rappresentarono i Gulag nell’Unione Sovietica durante il regime comunista. Di fronte alla storia ogni popolo in ogni momento può assistere inerme al tramonto della coscienza e dei diritti civili. Per questo i diritti civili acquisiti dalle donne soprattutto negli ultimi cento anni devono essere difesi e promossi con quotidiano impegno.
La violenza sulle persone oltre che sulle donne in alcuni casi tocca anche i bambini proprio pochi mesi fa è emerso un altro fenomeno molto triste. Maltrattamenti su bambini piccolissimi da parte delle maestre di una scuola materna statale a Colorno, secondo lei lo Stato è abbastanza presente, capillarmente sul territorio o sta battendo “la ritirata”? Cosa può fare un’Amministrazione comunale in questi casi?
Premesso che bisogna avere assoluto rispetto, in questo come in altri casi, delle indagini che gli inquirenti faranno per verificare le dinamiche e le eventuali responsabilità di tali episodi, chiediamoci se il moltiplicarsi di tali fatti in tutta Italia non sia il sintomo di un profondo disagio sociale che da alcuni anni colpisce il mondo dell’educazione e della formazione a tutti i livelli. Chiediamoci se l’investire nel sistema educativo italiano in termini di risorse finanziarie, di vivibilità e di sicurezza degli ambienti, nonché di congrua copertura numerica e qualitativa con le unità professionali necessarie al funzionamento del sistema, è stata la priorità di governo negli ultimi vent’anni. Non sta a me dire cosa dovrebbe fare un’Amministrazione Comunale, di certo da un lato dovrebbe porsi a tutela assoluta delle giovani vittime ma dall’altro interrogarsi nel profondo su cosa ha prodotto la falla di sistema … perché quando avvengono certi episodi è l’intero sistema che si deve interrogare e semmai mettere in discussione.
Torniamo in città, negli ultimi due mesi sul territorio di Parma si sono verificati quattro femminicidi e diversi episodi di violenza contro le donne, non ultimo uno particolarmente efferato con vittima una giovane donna di ventun anni, un dato drammatico per una comunità medio piccola, cosa ci può dire su questo dato?
Dimostra né più né meno quello che abbiamo detto in precedenza; a priori non c’è mai alcuna garanzia contro la violenza di genere, nemmeno le dimensioni ridotte di una comunità dove tutto potrebbe sembrare all’apparenza controllato e controllabile. La violenza contro le donne può manifestarsi in ogni momento e in ogni luogo e contesto. Di certo gli episodi che hanno avuto protagonisti persone del territorio parmigiano dovrebbero spronarci tutti, Istituzioni comprese, a una maggiore presa di coscienza del fenomeno in modo da organizzare con continuità momenti di sensibilizzazione e di formazione tesi a prevenire e a contrastare sul piano culturale e sociale la violenza contro le donne. L’Università di Parma con il suo CUG insieme ad altre Istituzioni del territorio a partire dal Comune e dalle Scuole è impegnata in questo compito imprescindibile.
S.C.