di Ursula Zambelli
Recentemente presso il Centro studi movimenti in collaborazione con Comune di Parma e la Fondazione Matteo Bagnaresi onlus si è tenuta la presentazione dell’archivio di Antonietta Bernardoni. Negli anni Settanta del Novecento, la medico-terapeuta modenese Antonietta Bernardoni elaborò e sperimentò soluzioni alternative al trattamento delle malattie mentali rispetto alla psichiatria tradizionale. Alla morte della dott.ssa Bernardoni, i suoi amici e collaboratori non vollero disperdere il corposo patrimonio documentario e bibliografico raccolto nel corso di una vita di studio e lavoro: ora tale patrimonio è conservato presso il Centro studi movimenti di Parma.
Rifiutando l’approccio psichiatrico alla cosiddetta malattia mentale, la dott.ssa Bernardoni decise di affrontare la situazione di sofferenza nella quale erano immerse le persone che le si rivolgevano anche con la creazione di gruppi di aiuto: una pratica poi definita Attività Terapeutica Popolare. Riprendendo le parole della dott.ssa Bernardoni, per attività terapeutica popolare (ATP) si intende non un’attività medico-curativa, bensì l’esercizio di una forma di attività popolare-preventiva, sotto forma di assemblee di carattere gratuito, collettivo, continuativo e reciproco, che ha per oggetto di studio scientifico la promozione e la trasformazione della personalità umana e della qualità della vita. Coloro che partecipano alle assemblee di ATP si incontrano metodicamente, programmaticamente e a intervalli ravvicinati in quartieri delle città al fine di instaurare reciproci rapporti di maggiore solidarietà e più profonda conoscenza. “L’attività terapeutica popolare restituisce parzialmente ai partecipanti le proprie capacità autoterapeutiche, agisce a livello microsociale e micropolitico allo scopo di modificare la qualità della vita quotidiana dei singoli, attraverso processi di riflessione e di autocritica e mediante un’analisi concreta delle situazioni personali problematiche, in vista di una loro concreta trasformazione” (Bernardoni, 1975).
Durante l’incontro si sono succeduti gli interventi di: Ilaria La Fata (ricercatrice, Centro studi movimenti Parma), Valentina Bocchi (archivista, Centro studi movimenti Parma), Fabrizio Manattini (docente di sociologia, Università di Urbino), Paolo Ferrari (medico di base, Verona), Ermanno Tarracchini (già docente di Strategie biopedagogiche, Università di Modena e Reggio Emilia).
In particolare il prof. Fabrizio Manattini, sociologo, ha sottolineato quanto l’approccio dell’Attività Terapeutica popolare tenda ad alleggerire il peso della responsabilità del singolo sulle proprie difficoltà emotive, restituendo la responsabilità a fattori socio-ambientali e politici. Le assemblee di ATP si pongono quindi non come contesti terapeutici o formativi bensì come contesti “regolativi” in cui l’individuo ha la possibilità di evolversi non per aderire in modo adattato e compiacente alla società (es. alla ricerca del ruolo del vincente, dell’arrivato socialmente ed economicamente, ec..), bensì di ritrovare una forma più consona a sé, riappropriandosi delle proprie specificità e unicità.
Sempre il professor Manattini ha effettuato un parallelismo con lo sviluppo del neonato e il migrante. Affinché il neonato si sviluppi serenamente occorre che la presenza sia di una madre adeguatamente contenitiva che di un contesto socio-familiare accogliente. La madre è essenziale che abbia fatto i conti con le proprie fasi di sviluppo psicologico, senza correre il rischio di riattivazione di antiche quanto profonde ferite. Così la società/contesto che accoglie i migranti non dovrebbe avere dei “sospesi “ sollecitati dall’incontro con i migranti stessi (la società che accoglie non deve avere paura per esempio della propria povertà, dei propri disagi sociali, ecc…), il rischio che corre la madre come la società che accoglie è, quindi, di diventare respingente in quanto portatrice di “paure proprie” ancora irrisolte.
Il dottor Paolo Ferrari, medico esperto in medicina preventiva, ha sottolineato che l’attuale scommessa, secondo l’approccio dell’ATP, è di contrastare il disagio sociale e la salute frequentando regolarmente contesti e soprattutto microcontesti resistenti, dove si agisce resistenza vera e profonda, accettando le nostre piccolezze, individualità e diversità.
Nonostante sia forte la collocazione storica nella quale l’attività terapeutica popolare si è sviluppata (è forte quindi la matrice antipsichiatrica) e da allora il pensiero psichiatrico sulla gestione della salute mentale si sia ulteriormente evoluta, indubbiamente l’approccio dell’attività terapeutica popolare permane per alcuni aspetti ancora attuale. Sicuramente ci riporta ad un approccio maggiormente etico, umano e fortemente deontologico verso la salute mentale e la salute in generale (ma anche nell’approccio con la diversità e con l’emergenza migratoria). Riconosce inoltre come nell’eziopatologia dei disagi individuali siano importanti anche i fattori di contesto socio-ambientale e i fattori politici. Infine l’ATP ci sottolinea la forza terapeutica insita in ogni gruppo (come i vari gruppi di auto mutuo aiuto o ai gruppi terapeutici) in quanto il gruppo funge, utilizzando le parole di J. Levi Moreno, “da mondo ausiliario nel quale i membri si offrono reciprocamente esperienze di accudimento, contribuendo in tal modo a nutrire, rinforzare, ripristinare il Sé di ciascuno”. Riteniamo quindi nella nostra fase storico-sociale, caratterizzata sia da emergenza economica che da emergenza umanitaria, che la lezione dell’ATP potrebbe apparire quanto mai attuale al fine di porre in essere interventi di natura gruppale in termini di prevenzione sia in ambito sanitario che in ambito psicosociale e clinico.