di Ursula Zanbelli
La scorsa settimana presso la sede del “Ruolo Terapeutico “ di Parma, il padre gesuita Guido Bertagna con la dott.ssa Roberta Giampietri hanno presentato “Il libro dell’Incontro”, un testo che fa riflettere sugli “anni di piombo” e sul prezioso contributo della giustizia riparativa. L’autore ha condiviso con un pubblico di psicoterapeuti il proprio lavoro di mediatore che, insieme al criminologo Adolfo Ceretti e alla giurista Claudia Mazzucato, ha reso possibile l’incontro tra le vittime e i responsabili della lotta armata degli anni settanta, in una ricerca di una via altra alla ricomposizione della frattura e delle ferite, pubbliche e private, inferte e subite in quegli anni.
Il filone è quello della giustizia riparativa, che prende a modello la Commissione per la verità e la riconciliazione nata in Sudafrica nel post apartheid. Una strada percorribile solo con la consapevolezza che la pena non basta senza riconciliazione, dove è centrale il danno “umano”, “l’ascolto attento che mette da parte l’impulso a voler avere tutto chiaro e la tentazione del giudizio”.
Una riflessione, quella scaturita dalla presentazione del libro, utile a chi lavora nelle relazioni di aiuto con le persone, a chi vuole incontrare davvero l’altro, altro inteso come paziente, come straniero o come mente appartenente al contesto criminale. L’altro da sé inteso come alterità incomprensibile o “alieno” per definirla con l’etnologo De Martino.
Guido Bertagna ha fatto riflettere, grazie alle parole di David Grossman, sul coraggio che dovremmo avere nella relazione di aiuto superando la “soggezione” che può operare in noi attraverso meccanismi difensivi, quale ad esempio un uso eccessivo di tecnicismo. La soggezione o paura che può entrare in gioco per evitare di entrare davvero in contatto profondo con l’altro.
I professionisti della relazione di aiuto sono stati sollecitati ad avere il coraggio di accostarsi al diverso o allo straniero ascoltando la “sua” verità senza giudizio, una verità che inevitabilmente fa confrontare con il “proprio” dolore, con le proprie possibilità di essere a “alieni”. “La duplice tematizzazione della storia nostra e della storia aliena…ci permette di raggiungere quel fondo universalmente umano in cui il ‘nostro’ e l’alieno sono sorpresi come due possibilità storiche di essere uomo” (E. De Martino). Vedere il volto dell’altro, tra rei e vittime della lotta armata, ha reso possibile un incontro vero che ha cambiato le possibilità storiche dei protagonisti.
L’esperienza descritta nel “Il libro dell’incontro” ha avviato un processo riparatore in cui la giustizia ha chiamato i partecipanti a rispondere davanti al volto “dell’altro”, spostando la visione della responsabilità da qualcosa (il reato) verso qualcuno, cioè la responsabilità verso altre relazioni e soprattutto generazioni future (es. i figli delle vittime). Grazie al contributo di Guido Bertagna si è toccato con mano che un’altra giustizia, fatta di verità di vissuti e di sguardi profondi, è possibile, una giustizia vera che permette di riprendere il filo della storia.